Zhu, per noi Linda

Zhu, per noi Linda (Shanghai, 1991).

Nelle lunghe e vuote giornate di attesa nella nostra trasferta di sei mesi in Cina del 1991, uno dei modi più interessanti di passare il tempo era parlare con le nostre interpreti. Ne avevamo quattro o cinque a rotazione, e la mia preferita era Zhu Yeping, che per noi aveva scelto il nome occidentale di Linda, come pure avevano fatto le altre. Linda aveva due lauree, una in filosofia orientale ed una in filosofia occidentale, e si era specializzata come interprete in inglese. Si poteva parlare di ogni cosa, e grazie a lei imparai anche quelle poche parole di cinese che conosco. Mi dava delle vere e proprie lezioni sulla grammatica e sulla calligrafia, e conservo ancora gelosamente il nostro quaderno degli ideogrammi.

Erano tempi particolari. Non si era ancora smorzata l’eco dei fatti di piazza Tienanmen, di cui comunque avevano una vaga conoscenza pur condividendone le idee semplici di partecipazione e riforma, ed erano i giorni della destituzione di Gorbaciov in Russia, con le foto sui nostri giornali in ritardo di una settimana che creavano tra loro lo scompiglio. Il rapporto tra noi ed il gruppo delle interpreti era sempre più profondo, di amicizia ed oltre. Nacquero sentimenti, nacquero relazioni affettuose, assolutamente caste per non metterle in pericolo. Nacquero confidenze, e Linda mi raccontò sottovoce storie di amori impossibili che, nonostante tutte le difficoltà, nascevano tra gli stranieri e le interpreti.

Conservai nella mente e nel cuore queste storie, in particolare due di loro, e le raccontai poi in uno scritto che ho ritrovato. E che qui vi propongo.

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“Alle interpreti non è permesso entrare e soffermarsi nelle stanze dei ‘foreigners’ della palazzina nuova del Jinshan Hotel. Tutti sanno delle influenze malsane che ricevono, e perciò è ammesso che siano più moderne e aperte di altre, ma il loro rapporto con noi è controllato. E non solo qui al Jinshan, ove gli addetti al pian terreno sembrano più selezionati per l’attitudine alla soffiata che ai servizi, ma anche nella ‘favolosa’ Shanghai. Eppure, nonostante il rigido controllo e le straordinarie possibilità di minaccia e coercizione che la Compagnia ha sui suoi dipendenti, ogni tanto qualcosa sfugge alle regole. Ecco un paio di storie, raccontatemi con circospezione.

Una interprete di lingua giapponese si innamorò pian piano di un tecnico inviato qui, come noi, per la grandezza della Repubblica Cinese. Non era certo possibile vedersi qui, e così ogni fine settimana i due si recavano a Shanghai per vivere al riparo da occhi indiscreti la loro storia. Al riparo da occhi indiscreti qui, però, non si è mai, e così una notte la ragazza uscendo dalla stanza dell’albergo trovò alcuni poliziotti ad attenderla. Erano lì dalla sera ed alle 4 del mattino l’arrestarono. Perquisendo la sua borsetta trovarono (orrore!) una cinquantina di FEC (yuan convertibili, per stranieri), frutto del suo ‘mestiere’: non vorrà certo che le credano mentre dice loro che le erano state date per il taxi, e poco conta sapere che le prostitute di Shanghai per una notte ricevono 100 US$ (circa 500 FEC).

Così la portarono in caserma per farle ammettere, farle confessare di avere avuto una relazione sessuale mercenaria. Ogni quattro ore due persone ricevevano il cambio, e l’interrogatorio proseguì per un giorno ed una notte, senza riposo, senza tregua. Alla fine, la resistenza di lei se ne andò e confessò. Confessò tutto, e le domande entravano sempre più nel dettaglio, le risposte sempre più dettagliate, ed umilianti. La ragazza fu liberata e ricondotta presso la Compagnia, dove fu costretta a cambiare lavoro. Il giapponese fu spedito a casa, dalla sua famiglia e dai suoi figli. Il futuro di lei era ormai ben misera cosa. Ed anche i suoi sentimenti ebbero un duro colpo quando riuscì a telefonare in Giappone per chiedere aiuto, e la cornetta fu riattaccata all’altro capo della linea.

Passarono quindi molti giorni bui, con nessuna prospettiva, neanche di rifarsi una famiglia (chi mai sposerebbe una donna ripudiata dalla società, quando anche le non vergini hanno poche speranze, e le vedove e le divorziate non ne hanno alcuna?) quando all’improvviso una telefonata dal Giappone la avvisò che tutto era stato organizzato, per il visto e per il suo posto presso l’università. Arrivò il benestare della Compagnia e così anche il passaporto. Il giapponese aveva avuto compassione.

Una interprete di lingua inglese lavorava per un americano. Costui aveva grandi problemi di lavoro e di adattamento, e la sua solitudine doveva certo pesargli parecchio se continuamente ricercava il conforto ed il consiglio della donna. Costei era sposata, anche se il suo uomo si trovava in Australia per studiare. Però la propria solitudine non la spaventava e continuava la sua attività in modo normale. Certo è che i due si vedevano spesso, e che fosse in modo ‘sano’ lo sapevano soltanto loro. In buona fede, non si resero conto che la gente cominciava a guardarli con sospetto.

Tanto più che effettivamente lui cominciò ad innamorarsi della donna che, seppure non bellissima, doveva essere certo di grande aiuto morale per l’uomo. E questo noi possiamo ben comprenderlo, se è vero che siamo qui da tre mesi al limite delle capacità di ambientazione. E tra noi non siamo mai soli. Così iniziarono i primi ‘rumours’, spauracchio di ogni donna rispettabile. La donna fu ammonita a torto dalla Compagnia ed anche la suocera fece irruzione dal suo capo, dando per certi i più atroci sospetti. Terribili lettere giunsero dall’Australia, sinché la donna fu messa a lavorare in ufficio, in isolamento.. Ma mentre l’atmosfera ostile intorno a lei cresceva, pian piano si ritrovò a pensare all’uomo che l’amava come all’unica persona che potesse comprenderla. Fu così che gli altri la spinsero pian piano nelle sue braccia. Cominciarono a vedersi e divennero amanti. Lei affrontava la reception sempre più spesso e si recava nella stanza di lui.

Così le cambiarono lavoro, ed una laureata in lettere finì a fare le pulizie in uno dei magazzini di parti di ricambio più distanti della zona. Non accettò, e così restò senza lavoro anche se l’uomo la sosteneva. Certo che costui doveva essere molto utile al sistema se riuscì a non farsi cacciare dalla Cina come ospite indesiderato. La donna decise di rompere gli indugi. Chiese il divorzio al marito, che dall’Australia rifiutò (il che non permette di procedere) e fece l’esame di lingua americana per potersi trasferire. Lo ha superato con una votazione altissima, e (sicuramente grazie al suo uomo ed alla sua importanza) ora è riuscita a volare in America. Con un ultimo dispetto, le autorità cinesi continuano a negarle il divorzio, ma loro forse non sanno che non sarà un problema.

Per due storie che finiscono bene, nonostante tutte le umiliazioni e le sofferenze umane che hanno comportato, ce ne sono tante altre che invece non mi hanno raccontato, ma che si possono intuire dai larghi sorrisi che le ragazze ti rivolgono mentre ti salutano con tutto il loro vocabolario d’inglese (‘Hallo!’) anche se i rispettivi ragazzi le apostrofano (o ci apostrofano) con le parole d’insulto cinese che già conosciamo. E dalla solitudine degli uomini occidentali, più o meno navigati al confronto di queste che spesso sono anime pure, almeno di fronte ai giochi di potere dei sentimenti. Di qualche storia non si può neanche parlare, ma ricordo di quando una delle mie amiche mi ha raccontato della festa che una coppia ha dato per presentare il loro (unico, ora e poi) figlio: <Lui non si è reso conto, ma come farà la moglie a nasconderglielo quando sarà cresciuto?>.”

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Erano belle persone le nostre interpreti, e ce ne innamorammo tutti in qualche modo. Stefano, uno dei nostri quadristi, riuscì addirittura a sposarne una tra mille peripezie, mandando a monte il suo lungo fidanzamento e portando il suo amore in Italia, una ragazza bella ed intelligente. Diedero vita a Luna, un nome che ha un bel significato anche in cinese, una cosa tipo ‘elegante giada’, contribuendo a rendere il nostro piccolo mondo più interessante ed universale, magari più tollerante verso le differenze. Perché deve essere simpatica per forza una giovane bella ragazza cinese con l’accento ternano.

Io mi innamorai di Linda, e lei di me. Un amore platonico perché prudente, le conseguenze avrebbero potuto essere disastrose come un trasferimento ad un altro sito lontano dagli anziani genitori a Shanghai. Un amore di tenerezze e sintonia. Mi donò il suo libretto rosso di Mao, ormai illegale e che tanto desideravo e cercavo, mi donò il libro dei mutamenti dei Ching in cinese, mi donò il suo cuore ed il nostro stato di grazia di quei giorni. Il giorno prima della partenza venne con noi a Shanghai, ed in un grande albergo dai lunghi corridoi lei prese il rischio e mi donò infine, con pudore, tutta se stessa. La prima ed unica volta.

Ci scrivemmo a lungo, cercai di capire se eravamo la cosa giusta come sembrava potesse essere. Ma il suo sogno era l’America, e credo che alla fine ce l’abbia fatta. Spero sia felice.

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