Oro/Gold

Coltello sacrificale (Bogotà, 1998).

Come può un veloce viaggio di lavoro, arrivando alle 4 del mattino con un lungo volo da Buenos Aires e Santiago del Cile e partendo poi in serata verso l’Europa, diventare così speciale nei miei ricordi? Fu di certo per l’opportunità di visitare uno dei musei più particolari che abbia mai incontrato, ‘el Museo del Oro’ di Bogotà, con la mia dinamica amica e collega Nico, che ancora ringrazio.

Dopo aver notato tutte quelle guardie stile MP su ogni singolo cavalcavia pedonale lungo l’autostrada dall’aeroporto, dopo una riunione in un edificio presidiato ad ogni piano meglio di una caserma, dopo una lunga corsa in taxi per le colline deserte intorno la città e cercando di comunicare nel nostro divertente spagnolo con un allegro (per il nostro spagnolo?) autista, e dopo aver girato per la città con i nostri bagagli alla ricerca di una qualsiasi banca che ci cambiasse i pochi dollari necessari per i biglietti d’ingresso (ancora ridono alla quarta banca, mi immagino, pensando alla lunga fila che affrontammo per ‘Solo questi?’ dollari), attraversando una folla in qualche modo preoccupante eppure così colorata e gentile nei miei ricordi, alla fine riuscimmo ad arrivare all’ingresso del museo.

Scoprimmo che in realtà alcuni villaggi precolombiani sulle montagne della Colombia non furono mai scoperti o magari raggiunti e distrutti dagli Spagnoli, ed i loro oggetti e le ricostruzioni tramite modelli del loro stile di vita testimoniavano a noi di una cultura molto complessa ed evoluta. Insieme ai tanti e rumorosi studenti colombiani, scoprimmo popoli a noi sconosciuti che in quelle terre crescevano, vivevano, combattevano e morivano, i loro utensili, le case, i templi, le tombe, tradizioni religiose. Tutto sembrava molto interessante, anche se cominciavamo a chiederci perché mai fosse chiamato Museo dell’Oro, dato che sino a quel momento di oro non ne avevamo visto. Infine, salimmo al piano superiore.

Poche persone alla volta venivano fatte entrare attraverso una enorme ‘porta’ circolare di accesso all’area blindata (spessa circa 40 centimetri!) ed in una piacevole atmosfera di penombra scoprimmo… l’oro! Decine e poi centinaia di oggetti, gioielli, coltelli per il sacrificio (come quello nella riproduzione in miniatura che comprai e vi mostro nella foto) e le descrizioni della loro origine e del loro uso. E sembrava non dovessero finire mai, in un lungo percorso attraverso corridoi e sale, fino ad un ultimo incredibile manufatto aureo che riproduceva il battello del re utilizzato durante una delle loro più importanti cerimonie (potrei dire che fosse il funerale, se non avessi timore di confondermi con gli egizi).

Infine, quando tutto ormai sembrava compiuto, e già ne sentivamo la mancanza ringraziando ogni Dio che gli Spagnoli non avessero scoperto tutte quelle opere d’arte per fonderle, ci trovammo al centro di un’ampia sala circolare, in penombra e senza altre uscite. Lentamente cominciammo a sentire suoni provenienti dalla giungla, dapprima lontani poi sempre più vicini, mentre le luci cominciarono ad aumentare. Erano concentrate verso poche zone della parete, ove così apparvero ancora altri oggetti e utensili d’oro distribuiti su ciò che sembrava una ricostruzione di un paesaggio di colline e montagne. E poi altri punti vennero illuminati e ancora più suoni diffusi, e altri oggetti apparvero… ancora ed ancora… e poi divenne travolgente: tra assordanti versi di uccelli, gli oggetti erano ormai forse migliaia e dappertutto, erano spendenti. E stavano lì a testimoniare la dignità e la vita stessa dei loro antichi proprietari, come fossero stati ancora tra noi e reclamando le nostre scuse ed il nostro rispetto.

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Questo scritto nasce in inglese per gli amici del buon Virtualtourist tra un meeting e l’altro, che saluto con affetto. Eccone la versione originale:

How can a flashy business trip, arriving at 4 am by a long flight from Baires and Santiago del Chile and leaving the same day in the evening to Europe, remain so deep in my memories? It was the opportunity to visit one of most special museum I have ever seen, el Museo del Oro in Bogota’, with my dynamic colleague Nico, that I still thank for that.

After noting all those old MP style guards on any walkway bridge on the highway from the airport, after a meeting in a building as guarded as a fort, after a long taxi ride through the empty city hills and talking our funny Spanish language with a happy (for that?) taxi driver, and after walking around with our bags looking for any bank that would change us few dollars for an admission ticket (still laughing at the fourth one, I guess, thinking of the long queue we did for ‘Only these?’ dollars), among a somehow concerning crowd still so colourful and nice in my memories, then we made it through the door of the museum.

We discovered that actually some pre-Columbian villages on the mountains of Colombia were not found and/or completely destroyed by the Spanish and their tools and lifestyle reconstruction testified us of a very complex and evolved culture. Together with many noisy and funny Colombian students, we discovered of unknown peoples and persons raising, living, fighting and dying, their tools, houses, lives, temples, tombs, believes. It was all very fascinating, even if we started to wonder why they called it the museum of gold, since no gold was shown. Then we went upstairs.

Only few people were admitted at a time through a huge door of a strong room (about 16 inches thick!) and in a nice dark atmosphere we discovered… the gold! Tens then hundreds of tools, jewellery, ritual knives (as the one in the little model I bought and I am showing you) and the descriptions of their origin and use. And it seemed that it would never end, in a long walk through corridors and showrooms, up to the last incredible golden artefact reproducing the king’s boat used in one of the most important of their ceremonies (I would say was the king funeral if I was not afraid to confuse it with the Egyptians).

Finally, when everything seemed over, and we were already missing it and thanking any God that the Spanish did not find all those pieces of art to melt them, we found ourselves in the centre of a dark circular room with no further exits. Then slowly we started to hear sounds from the jungle, first far away then closer while the lights started to increase. They were localised on few spots of the wall, which were actually exposing more golden tools on what seemed the reproduction of hills and mountains. Then more spots were lightened, then more sounds were coming, then more tools were shown… more and more… and it became overwhelming: among loud birds sounds they were thousands everywhere, they were shining, they were testifying of their owners’ dignity and life, as if they were still alive and claiming our apologies and respect.

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