
Cosa c’è di più speciale della musica, della colonna sonora della nostra vita? L’amplificatore naturale per i nostri sentimenti, la cassa di risonanza dei nostri pensieri più profondi. Ciò che ti fa esplodere la gioia o la disperazione che dentro di te cercano la via per manifestarsi e prendere forma. Si, la musica spesso è questo. Ed anche socialità, condivisione e appartenenza, ideali con permesso di manifestarsi, serenità di spirito.
Al di là dei 45 giri della nostra infanzia, il mio primo ricordo serio è il primo LP, dono per i miei 14 anni di una zia che evidentemente si era fatta consigliare al negozio. Era un disco dei Grand Funk del 1974, ‘Shinin on’, ed era hard rock. E si aprì un mondo. Con l’amico Stefano aspettavamo l’uscita degli LP più importanti, come ‘Wish you were here’ dei Pink Floyd (ricordo il cellofan nero) e poi li consumavamo con un ascolto infinito.
Per la buona musica serviva una buona riproduzione, ed il mondo giovanile di quei tempi divenne esperto di impianti di alta fedeltà. Mi feci aiutare dal cugino Angelo e comprammo un bel sistema. E’ ancora a casa dei miei: ampli, piatto, tuner, riproduttore di cassette doppio per fare copie e casse enormi, tutti rigorosamente di marche diverse. Cominciò un giro vorticoso di cassette tra amici, di collezioni e regali romantici: la mia selezione per te.
Nel frattempo si riscaldava la situazione politica e cominciò la grande stagione dei cantautori. Si credeva di fare, e un po’ si faceva, politica ai grandi concerti a 500 lire con Guccini, Lolli, Pino e la musica andina. Non perdevamo un’occasione e conoscevamo le canzoni a memoria, le cantavamo con le nostre chitarre intorno ai fuochi estivi. Ricordo ancora come ieri un concerto del grande Dalla in un tendone sotto il nubifragio.
Dai cantautori al country dei Crosby, Still, Nash e Young ci accompagnò la chitarra, strumento principe della nostra vita musicale. E pian piano si scivolò nel progressive. Che in Italia voleva dire sapere a memoria i testi barocchi del Banco, e altrove riconoscere le singole note dei Genesis. Eravamo tutti poetici ed ispirati ed io facevo dirette notturne ad una radio libera anche con un solo disco. Portai tutti i miei LP alla radio, li rubarono.
Entrammo così negli anni ’80, un poco più smaliziati e pessimisti. Passammo dal punk alla new wave, ballavamo in discoteche rock e a volte restavamo a guardare il soffitto. Saltavamo con i Police e David Bowie, coi Talking Heads, gli U2 ed i mille altri, ci innamoravamo di donne dai rossetti neri e senza cuore. Cercavamo un senso alle nostre esistenze passando le notti per le strade. Poi qualcuno partì militare e riprese a studiare.
Con la stagione dell’impegno venne anche l’approfondimento musicale. Era stato tutto sommato un percorso leggero sinora, c’era da riprendere la grande musica trascurata, dai Beatles ai Rolling Stones, da Eric Clapton a Bruce Springsteen, da Bob Marley a tutta la musica etnica con cui il mondo poteva arricchirci, dal tango alla bossanova alla musica cubana. E per quelli più bravi c’era ancora da apprezzare jazz, blues e persino la classica.
Ed all’interno di questa lunga fase c’è poi stata per me una bella parentesi americana ricca di nuovi stimoli e nuovi protagonisti. C’era Rock Radio a farmi compagnia sull’autostrada verso la fabbrica, ed era un periodo di nuovi grandi interpreti sopratutto al femminile. C’erano Anastacia, la Crow e la Chapman, la Morissette e Dido, la Merchants e la Stone, e tante altre in un caleidoscopio di nuove vibrazioni. Un periodo di musica ispirata.
Siamo ai giorni nostri. A noi vecchietti non si può chiedere di apprezzare il rap ed il suo turpiloquio, siamo troppo legati alla lirica dei sentimenti e della buona armonia. Che ancora si è espressa e si esprime, con Fossati e la Mannoia, con Vasco ed il Jovanotti buono, i Måneskin e gli altri che sapete. Me li ascolto sul tapis roulant in palestra, e ancora amplificano la dimensione delle mie sensazioni, e mi fanno sorridere. E commuovere.