
Dopo alcuni giorni spesi per visitare la città, partimmo in macchina da Bangkok verso sud lungo la costa orientale. Si guida a sinistra in Thailandia, e così fu Sujitra a mettersi al volante lungo le strade rettilinee e curate, tra i mille mercatini a bordo carreggiata ove fermarsi a mangiare ed attraverso infinite piantagioni di palme ordinate. Ci eravamo conosciuti a Ferrara, e fummo subito incuriositi l’uno dell’altra. Certo io di lei, giovane ingegnere tailandese di origini cinesi dallo sguardo timido ma attento, di poche parole e piccole attenzioni discrete. E dopo la cena di lavoro, continuammo a parlare e a raccontarci passeggiando intorno al castello Estense fino a notte inoltrata. Finimmo per conoscerci.

Per la mia permanenza in Thailandia, oltre alle visite in città, aveva organizzato tramite l’agenzia della sorella un bel viaggio per conoscere lo splendido mare del sud. Non quello ormai abusato di Pukhet della costa occidentale o della grande isola di Koh Samui (dove ‘koh’ in tailandese vuol dire ‘isola’), ma quello orientale incontaminato dei parchi marini dell’arcipelago di Chumpon. Stavamo andando a Koh Tao, paradiso dei sub con le sue spiagge sorprendenti come quella di Shark Bay, la baia degli squali, per poi da lì trasferirci sulla piccola Koh Nang Yuan proprio là di fronte. Dalla costa ci arrivammo dopo un paio d’ore diciamo complicate di motoscafo veloce, coi sacchetti pronti appesi intorno a noi.

L’isola, naturalmente, era meravigliosa. Sulle sue due piccole colline, tra gli alberi del bosco, erano pochi bungalow verdi isolati e quasi mimetizzati, e sulla spiaggia che le univa era il piccolo molo ed un ristorante molto vario. Al ristorante conoscemmo anche un’istruttrice sub di Milano che discuteva con i suoi genitori, venuti a riportarla a casa e che chiaramente non sarebbero riusciti ad allontanarla dal suo paradiso. Al ristorante Suji sceglieva per me ogni volta una pietanza semplice per permettermi di sopravvivere, e poi una molto speziata, alla tailandese, per farmi conoscere la ricchezza e la tradizione della loro cucina. I vantaggi di quando si viaggia in buona compagnia, meglio se locale.

Ero incantato ogni volta dall’acqua trasparente dalle mille sfumature di azzurro, e dai pesci di ogni forma e colore che venivano a mangiare dalle nostre dita. Mi feci male dando delle testate in snorkeling alla piccola barriera di corallo che circondava l’isola, e mi feci malissimo dopo ore in acqua sotto al sole mentre mi divertivo alle spalle dei tanti tailandesi che in acqua tenevano su le loro magliette. Naturalmente avevano ragione loro. Passai il resto dei giorni a cercare ombra uscendo nelle ore più fresche, ma ciò ci permise anche di stare più tempo insieme sul patio del nostro bungalow, sotto i rami ed i frutti del nostro albero di mango personale. Ero in paradiso, e Sujitra era il mio angelo guida.

Continuammo a vederci. Venne da me a Milano e poi anche a Roma dove conobbe i miei. Mia madre non riusciva ad adattarsi alla diversa bellezza asiatica e continuava a parlarle a voce alta per farsi capire meglio, in italiano e con pochi risultati. Suji era contenta di far parte della mia vita ed io ero contento che lo fosse, mentre imparavamo a conoscere ed apprezzare le nostre diversità. Ed io in particolare di conoscere meglio lei, donna indipendente e da ammirare in un mondo differente, lei che generava sentimenti così sereni e sussurrati da farti sentire in armonia. Un incontro di quelli che ti aprono la mente, in pace con te stesso e col mondo, più ricco nella sua diversità. Ed ancora ci sentiamo.

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PS: Nel caso foste interessati a qualche informazione in più su questo luogo meraviglioso, vi lascio col link turistico a ciò che oggi è il Nangyuan Island Dive Resort: