
Lo sport è una dimensione importante di sé stessi. Lo è sicuramente da ragazzi, nel pieno delle proprie energie e relazioni sociali, lo è per tutta la vita. Non parlo dello sport passivo, ma dell’attività sportiva. Che vuol dire fatica, interazione personale, soddisfazione. Vuol dire mettersi alla prova in un contesto di regole e verificare il proprio valore.
Penso in generale di essere portato, di avere un fisico equilibrato con un buon potenziale, anche se non mi sono mai veramente buttato con grandi risultati. E non ho neanche avuto mai uno sport preferito, in generale ogni sport a conoscerlo è un piacere. Forse per me è meglio quando c’è anche socialità, ma ho anche vissuto volentieri sport solitari.
Però, dovendo scegliere, preferisco gli sport di squadra. Il singolo che affronta sé stesso ed il cronometro mi stranisce. Mi piace far parte di un gruppo, aiutare ed essere aiutato, esultare ed arrabbiarsi insieme. E non ho mai avuto quello spirito competitivo solitario, quella cattiveria che spinge a ‘far male’. Per me, vince in lealtà la squadra più brava.
I primi ricordi son legati al calcio. Ai nostri tempi, occupavamo le strade isolate, facevamo pali con le cartelle, giocavamo fino al tramonto con le mamme che chiamavano dal balcone. Non essendo un campione, alla conta spesso finivo all’ultimo pari e dispari come scelta tra palla e porta o scarto. Ma almeno non ero portiere, divenni terzino sinistro.
Alle superiori mi specializzai nel ruolo. Giocavo con la classe nelle sfide e nei tornei interni, e giocavo fuori con la Nuova Magliana. Non eravamo molto bravi, ma facevamo allenamenti massacranti con ogni tempo. Diversamente da oggi, fare sport era una nostra scelta autonoma e segno d’indipendenza. I miei non sapevano dov’era il nostro campo.
A tempo perso io e Gaetano facevamo mezzofondo, nonostante il mio fumare. La scuola partecipò a delle olimpiadi e ci offrimmo volontari. Ci allenammo tanto la sera sulle piste di Caracalla, mentre tutti ci doppiavano. Ci diedero delle scarpe coi chiodi veri, impressionanti. In gara, Gaetano fece il suo grande sprint finale, ma un giro troppo presto.
Venne poi la stagione del tennis. Me lo insegnò Maria, la mia dolcezza tedesca a Roma. Ogni domenica andavamo a giocare al Gemelli, dove studiava, e diventai un ottimo palleggiatore. E mi piaceva. In Germania giocai in coppia con la mamma che mi stressò urlandomi continuamente ‘Prima!’. Scoprii solo la sera che in tedesco vuol dire ‘Grande!’.
Nei villaggi estivi scoprii che nei tornei mi mancava la cattiveria, quella per mettere in difficoltà l’avversario. In pratica, aiutavo l’avversario a giocar bene, a fare insieme una bella partita. Non è una brutta cosa, ma non è nello scopo del gioco. Ecco, quella cattiveria, quella voglia di sopraffare ed umiliare uno davanti a te e a tutti io non ce l’ho.
Andavo meglio con la vela. Sport singolo, si, ma senza un avversario davanti. E con un bel contenuto tecnico. La vela mi piaceva in particolare, e andai anche vicino a fare un corso da skipper a Milano con Nicoletta. Sentire il vento, scegliere il modo migliore per farsi accompagnare, l’esaltazione delle andature veloci tra gli spruzzi sono bei ricordi.
E feci bene anche con lo sci, che pure temevo non avendolo mai avvicinato. Gli istruttori mi fecero passare al corso avanzato dopo due giorni e mi veniva naturale assecondare col corpo la gravità per aderire e al tempo stesso scivolare sulla neve. E ho da qualche parte anche un paio di medaglie, di quelle da villaggio, si, ma comunque ce le ho.
Seguì poi una lunga pausa, senza occasioni sino allo scorso Maggio. C’era in me da tempo il desiderio di riprendere il filo di un rapporto col corpo da troppo tempo trascurato, e c’era anche chi in questo rapporto credeva e mi ha motivato con garbo. E così mi sono iscritto in palestra, ed ho cominciato un percorso costante e quotidiano, e molto proficuo.
Ho ritrovato il mio corpo e le sue potenzialità, motivazioni e soddisfazioni. Ho trovato amici, conosciuto nuove storie di vita sorprendenti, diverse da quelle dei nostri tempi perché diversi sono i tempi. Più avventurosi, meno prevedibili. E nonostante tutto ancora simili ai nostri per valori e motivazioni. La mia palestra e ciò che ruota intorno mi piace.
Questo è stato ed è il mio rapporto con lo sport, e credo sia una bella storia. Non diventare il più bravo, ma mettersi alla prova insieme. Come quella volta in Cina che i ragazzi dell’impianto sfidarono gli ‘italiani’ in una partita di calcio memorabile. Ci portarono dietro le loro biciclette, ci stracciarono e ci riportarono, ed erano felici. E noi con loro.
Gaetano mi disse che avevo fatto il fenomeno quel giorno, che avevo giocato bene come mai. Era vero, mi sentivo in stato di grazia. Dall’altra parte del mondo stavamo giocando al calcio con gente che non capivamo, ma sorridevamo continuamente. Era la gioia di vivere insieme, di confrontarsi con lealtà. Ed il risultato non era importante. Per niente.
Ecco, per come la vedo io quella volta stavamo facendo sport. Quello vero.