
La fontana della Carlotta non è imponente. Nella sua semplice bellezza, però, rappresenta bene il quartiere dove vivo, la Garbatella. La Carlotta che nell’immaginario popolare era la ‘garbata ostessa’, benvoluta dai pellegrini del XVI secolo per la sua indole generosa e cortese, forse davvero molto generosa. Il 18 Febbraio 1920 il re Vittorio Emanuele III pose la sua prima pietra con un progetto che aveva una sua precisa funzione sociale. Mentre sul vicino Tevere sorgeva il nuovo contesto industriale dei servizi alla città, dall’elettricità fornita dalla Centrale Montemartini al gas di città nell’area dell’attuale gasometro, dal porto fluviale sul Tevere alle piccole industrie come il Mulino Biondi, dai mercati generali al mattatoio, nasceva l’esigenza abitativa per le relative classi lavoratrici. E più tardi anche quella di accogliere gli sfollati di via della Conciliazione e di via dei Fori Imperiali.

Il modello architettonico scelto per il cuore del progetto fu quello inglese della ‘città giardino’. Ciò forniva alle classi operaie provenienti dall’agro pontino spazi verdi coltivabili favorendone la transizione e la sussistenza. Il quartiere concepito come villaggio, con piccole strade non rettilinee, case basse indipendenti, spazi verdi comuni. Eppure ben collegato con la città con la via Ostiense, e poi con viale Cristoforo Colombo, ferrovia e metropolitana. Il tutto adiacente alle zone industriali cittadine. Architettura povera, si, ma anche ben definita ed originale, come col barocchetto degli inizi. Ed anche in seguito, nella stagione fascista che pur ridusse le aree verdi ed aumentò le dimensioni degli edifici, le scelte architettoniche furono particolari per gli edifici comuni tipo asili nido e scuole, bagni e stenditoi. Mantenne il carattere sperimentale a misura d’uomo del quartiere.

Naturalmente col tempo le condizioni sociali originali sono mutate. Non esistono più le realtà industriali che erano alla base della presenza di una classe operaia nel quartiere ed anche della sua collocazione politica ben definita, la più a sinistra della città. Le case dei ‘lotti’ vengono pian piano cedute ai privati e restaurate, la vicina Università Roma Tre ne influenza la vita culturale gestendo il teatro Palladium restaurato, la Regione trasforma i vecchi bagni pubblici nell’hub culturale Moby Dick, associazioni e centri sociali come il ‘CSOA La Strada’ e la ‘Casetta Rossa’ contribuiscono alla nuova vitalità del quartiere con feste musicali popolari e le altre loro attività. Cambia così la natura del quartiere, da prettamente operaio ad una nuova realtà ancora popolare, ma che segue un suo percorso culturale nel segno della sperimentazione. Un quartiere che si rinnova conservando la sua anima garbata e positiva. Quasi una bella metafora di vita, ed un bel quartiere da vivere.
