
Della mia esperienza cinese negli anni ’90 molte cose mi rimasero impresse. Oltre alle storie personali e le questioni sociali, anche il mondo del lavoro aveva caratteristiche molto particolari. Erano ancora i tempi della pianificazione economica e della grande marcia verso lo sviluppo. Ciascuno era chiamato a contribuire al progresso comune lavorando nelle grandi aziende statali come la Shanghai Petrochemical Co. e solo persone con precedenti penali e quindi ai margini della società si dedicavano a piccole attività private come nel commercio. Il posto di lavoro onorevole era quello all’interno dello Stato.
E nello Stato c’erano due caratteristiche particolari. La prima era dover assicurare la piena occupazione affinché tutti partecipassero. Ed allora, laddove un turno in impianto avrebbe dovuto comprendere dalle 3 alle 5 persone, noi ci ritrovavamo con una ventina di ragazzi e ragazze in sala controllo seduti sulle panche spalle al muro. Giovani impreparati, annoiati e demotivati, non operativi. E neanche il management era particolarmente preparato, essendo costituito per lo più da persone che avevano interrotto gli studi durante la rivoluzione dei cento fiori, e che poi erano stati reintegrate e laureate d’ufficio.
L’altra caratteristica era il trattamento economico livellato. A prescindere dal proprio impegno e buona volontà nel lavoro, dall’importanza del ruolo o dai risultati conseguiti nel lavoro, tutti percepivano un salario praticamente equivalente. Il che voleva dire che nessuno era incentivato a far bene o meglio di altri, o a migliorarsi, perché tale impegno non veniva riconosciuto in alcun modo. E le poche persone particolarmente capaci e curiose reprimevano l’entusiasmo riducendo il proprio lavoro al minimo indispensabile. Mr. Tang però era una eccezione, lui amava il proprio lavoro e voleva crescere.
—ooo0ooo—
“Mr. Tang, o comediavolosichiama, è uno strumentista. Ama il suo lavoro e lo sa fare abbastanza bene. Rientra la notte quando viene chiamato, risolve i problemi e contribuisce a tenere in marcia l’impianto. Non ci sarebbe nulla di speciale se non fosse per il fatto che è uno strumentista cinese, in un impianto cinese, con i ritmi di lavoro cinesi.
Quando lo chiamano di notte, viene poi a fumare una sigaretta nella nostra saletta, col suo modo di fare schietto e sorridente, e con la sua grande energia ti racconta di sé e delle sue esperienze, di ciò che pensa del sistema di lavoro e delle sue speranze. Neanche se lo avverto che molti dei ragazzi capiscono un po’ d’inglese si frena dal dire che quei ragazzi non capiscono nulla, che non sono interessati al proprio lavoro e che sono scansafatiche. Lui l’inglese lo ha studiato da sé, con le audiocassette, e si diletta a parlarlo velocemente ed in modo naturale tanto che la sua interpretazione fa perdere tratti del discorso.
Sorride, e ti racconta che gli dispiace venire la sera perché deve interrompere le sue traduzioni: traduce libri e manuali operativi per la SPC (Shanghai Petrochemical Company), e ci fa molti più soldi del suo stipendio. Ha tradotto più di 10 ‘libroni’ per farne tanti, e lo ritiene giusto. Lui è uno di quelli che lavorano bene, e non sopporta il fatto di prendere lo stesso stipendio di quelle ragazzine strumentiste in turno che di notte, dietro ai fogli di carta con cui oscurano le finestre delle porte, si chiudono dentro e dormono distese in terra od appoggiate ai tavoli . Che tanto se le chiami per una emergenza non sanno assolutamente nulla del loro mestiere, ed ormai non le chiamiamo neanche più.
Mr. Tang spera che la Tecnimont (la società italiana che ha progettato e costruito l’impianto) lo assuma e lo mandi in giro per il mondo, magari anche in China, perché ci dice con stile americano che “la Tecnimont ha bisogno di gente che sa lavorare”. Non sono solo chiacchiere, qualcuno si sta interessando. Ma non sarà facile, e non è neanche facile lasciare la SPC. Quando si lavora per la SPC, la tua residenza è sotto il loro controllo ed è così che si ottengono tutti quei privilegi come ‘sconti’ su cibo, vestiario e casa che sono indispensabili per vivere. Se al momento di cambiare società la SPC non è d’accordo, allora è sufficiente che ti neghi il cambio di residenza, per andare da Jinshan a Shanghai per esempio, e sei fregato. Non si può vivere in China con uno stipendio normale senza sussidi.
Così quando ci si prepara a cambiare lavoro, avendone la possibilità, occorre prima ingraziarsi l’ufficio del personale, che pure non ha nulla a vedere con i tuoi capi, per poi ottenere il nulla osta al trasferimento senza di cui non potrai cambiare. E’ un potere immenso per le Compagnie con cui la gente viene vincolata a posti di lavoro anche ignobili per tutta la vita, e che dà adito ad un traffico di piccoli e grandi soprusi. Allo stesso modo è controllato l’afflusso delle persone nelle città più popolate: tanto è facile andar via da Shanghai, quanto è impossibile farvi ritorno. E non bastano genitori moribondi, famiglie spezzate e tanto meno desideri od ambizioni personali, che siano nel lavoro o nella vita.
La famigerata ‘carta di residenza’ è proprietà prima del sistema scolastico, che può mandarti nei luoghi più disparati della nazione, e poi della Compagnia. Puoi anche essere in grado di trovarti altre 10 opportunità di lavoro, ma senza il loro benestare quasi mai è possibile andarsene. A meno che non riesci a trovare la chiave giusta. E se così per una bella ragazza è forse più facile trovarla, per il nostro amico riuscire a cambiare società ‘per andare a contribuire maggiormente allo sviluppo della nazione’ potrebbe arrivare a costargli tutti i suoi 2000 US$ messi da parte traducendo di notte libri dall’inglese al cinese di notte. Così poi il suo sorriso sarà ancora più grande, e così la sua rabbia.”
—ooo0ooo—
Non ho saputo poi che fine abbia fatto Mr. Tang e se sia riuscito nei suoi intenti. So però che da allora la Cina è molto cambiata, che l’iniziativa privata è pian piano passata dall’essere una attività quasi disonorevole ad oggi che rappresenta una parte importante dell’economia cinese, con grandi imprenditori e grandi società a livello mondiale. Mi piace immaginare che lui, in effetti un precursore dei nuovi tempi, abbia infine profittato delle mille opportunità che si sono aperte, e che sia oggi soddisfatto del suo lavoro e della sua vita. E che, alla fine, abbia dimenticato la sua frustrazione e la rabbia di quei tempi.